di Stefano G. Azzarà, in corso di pubblicazione su “Contropiano”, n° 4/2007
Nella tradizione religiosa ebraica, il dare nome alle cose – la capacità di intervenire sul linguaggio e dunque sui significati – è indice peculiare di rango e produttività ontologica: nominare è qualcosa di affine al creare, al suscitare la realtà ed è dunque un attributo di dio. Questa riflessione ci aiuta a comprendere in che senso e sino a quale misura gli Stati Uniti di oggi siano diventati una «potenza teologica». Una potenza in grado non solo di concedere grazie ed emettere bandi di scomunica, ridefinendo sulla base dei propri interessi e progetti geopolitici il limes tra l’area della civiltà e quella della barbarie, ma in grado, ancor prima, di rielaborare il significato delle parole e, attraverso di esse, di ristrutturare il senso stesso del mondo.
Dalla teologia siamo con ciò riportati sul terreno concreto della storia e del conflitto. E’ a questa dimensione, infatti, che deve essere ricollegata la grandiosa ma inquietante trasformazione dell’orizzonte politico contemporaneo il cui sintomo è rintracciabile in quei sottili spostamenti semantici che Domenico Losurdo ci presenta nel suo nuovo libro (Il linguaggio dell’Impero, Laterza, Roma-Bari 2007). Losurdo ci propone in sette parole chiave («terrorismo», «fondamentalismo», «antiamericanismo», «antisemitismo», «antisionismo», «filo-islamismo», «odio contro l’Occidente») il «lessico dell’ideologia americana», ossia i termini basilari di quella nuova «ideologia della guerra» che, come quasi un secolo addietro nel corso del primo e del secondo conflitto mondiale, sta penetrando e plasmando le forme di coscienza dominanti della società “globalizzata”. Lungi dall’essere un fenomeno marginale, ci sembra che tutto ciò abbia una grande importanza perché collegato alla questione dell’egemonia, la conduzione del conflitto politico sul terreno ideologico-culturale.
Sul domenicale del “Sole 24 ore” del 6 maggio Emilio Gentile denunciava la «marea montante di antiamericanismo che si è diffusa nel mondo negli ultimi cinque anni», passando in rassegna i numerosi libri usciti negli ultimi tempi su questo tema, volti per lo più a stigmatizzare questa dilagante «ossessione antiamericana». Sempre in questi giorni è uscito da Einaudi il libro della studiosa Gadi Luzzatto Voghera, provocatorio sin dal titolo: Antisemitismo a sinistra. Si tratta di spie linguistiche significative di un salto culturale, della formazione di un nuovo senso comune, di una visione del mondo potente e onnipervasiva che ha finito per far breccia nella stessa sinistra.
Cosa significano oggi, anche a sinistra, i termini che Losurdo individua come cardini del lessico dell’Impero? Ognuno di essi ha una lunga e complessa storia ed è stato più volte affrontato ed elaborato nell’ambito della tradizione marxista. E però non c’è dubbio: essi hanno subito una strutturale trasformazione semantica. Terrorismo è oggi anzitutto «il prodotto peculiare di una cultura determinata, quella islamica, affetta… dal “culto della morte”» (34) e decisa a impedire la diffusione nel mondo arabo dei valori della civiltà liberale. Fondamentalismo è il carattere «più o meno necessario dell’islam, di una religione cui si rimprovera la permanente incapacità di adattarsi alla modernità» (43). Anche l’antiamericanismo è, del resto, «il sintomo più o meno acuto di un morbo: il disadattamento rispetto alla modernità e la sordità alle ragioni della democrazia» (91). L’antisionismo è di per sé «una forma di antisemitismo» (152), una categoria resa tra l’altro del tutto a-storica e volta a denotare una sorta di malattia perenne, in cui sono coinvolti «Erasmo assieme a Lutero e Calvino, Voltaire e d’Holbach, Kant e Fichte così come Hegel, Marx e Nietzsche» (125). Il filo-islamismo è sinonimo di fiancheggiamento del nemico, perché, come Losurdo cita da Huntington, «il vero problema per l’Occidente non è il fondamentalismo islamico, ma l’islam in quanto tale» (187). Chi, pretendendo di rappresentare il pensiero critico, si macchia di queste «eresie» o «peccati mortali», infine, manifesta tutto il proprio «antioccidentalismo», che lo «porta a deformare il volto sacro della civiltà, della società aperta e libera» e a contestare l’«evidenza solare dell’assoluto primato culturale e morale dell’Occidente» (244) e della sua nazione-guida.
Ha buon gioco Losurdo nello smontare queste posizioni mostrandole come una forma di falsa coscienza. Il terrorismo è anche quello dei servizi segreti americani, delle “esecuzioni extragiudiziarie” israeliane, dei bombardamenti sulle città, dell’embargo come misura di punizione collettiva... Si può dire, anzi, che se esiste un «terrorismo semplice dei deboli», che sopperiscono con forme irregolari di violenza alla sproporzione nei rapporti di forza, esiste anche un «terrorismo molteplice dei potenti» (16), anche se in questi casi, sia nelle cronache che in molte ricerche scientifiche, «è il termine stesso a essere bandito» (4). E il fondamentalismo, che già sul piano concettuale nasce nell’ambito della tradizione religiosa americana, è in realtà «una categoria da declinare al plurale» (47), una questione, cioè, che riguarda tutte le religioni e non esclusivamente l’Islam. Cosa c’è di più fondamentalistico, del resto, del mito dell’Occidente come «nuova Israele» o come «spazio sacro della civiltà», separato da una barriera impenetrabile e spesso naturalisticamente connotata rispetto al mare magnum della «barbarie» di colore che preme alle porte? Non è forse un formidabile fondamentalismo quella forma di coscienza ispirata al Manifest Destiny e all’idea dell’eccezionalismo americano? Davvero, poi, l’antisionismo è una forma di antisemitismo oppure è proprio il sionismo, nel rimuovere la questione coloniale, a configurarsi come una forma di negazionismo estremo che cancella, con la tragedia palestinese, la sorte di tutti quei gruppi esclusi che nel corso della storia hanno subito tragiche forme di discriminazione e che non hanno avuto la fortuna di essere alla fine “redenti” e cooptati nell’ambito della civiltà occidentale? Se è vero che esiste una forma virulenta di odio contro l’Occidente, infine, «perché mai l’islam dovrebbe rispettare e amare l’Occidente più di quanto l’Occidente rispetti e ami l’Islam?» (244).
Queste considerazioni critiche erano un tempo patrimonio comune della sinistra e avevano una larga eco nella stessa opinione pubblica. Il fatto che oggi appaiano anticonformistiche e persino pericolose è l’indice di un grande mutamento nelle forme di coscienza collettiva che è parte integrante della sconfitta storica subita dalle classi subalterne e dai popoli sottomessi di tutto il mondo in quella sorta di guerra civile internazionale che si è conclusa con l’avvio del “momento unipolare” americano. Il conflitto politico-sociale ha una portata integrale e gli eventi che si verificano nel suo corso, i progressi ma soprattutto le battute d’arresto, non lasciano inalterata la sfera ideologica e i suoi rapporti di forza. Prospettare le condizioni minime di un’alternativa di sistema che consentano di uscire dall’attuale fase di riflusso e di rilanciare su nuove basi la lotta politica richiede un lavoro culturale di enorme portata, sia sul piano della memoria che su quello dell’innovazione. Come dice André Tosel, intervenendo su questo stesso libro nell’ultimo numero de “l’ernesto”, «Losurdo ha portato a termine il suo percorso di decostruzione: l’ideologia imperiale è stata messa nudo e può essere pienamente demistificata»; il suo libro «ci affida con ciò un compito, portandoci sulla soglia di quella che dovrebbe essere l’elaborazione di una concezione del mondo “positiva” nel senso gramsciano del termine, capace di unire universalismo concreto e attenzione per la singolarità del reale. Dopo la pars destruens, è giunto il momento di una pars construens».
lunedì 21 maggio 2007
lunedì 14 maggio 2007
Le langage de l’Empire. Les frontières miroitantes d’une vocation à la domination
ENZO TRAVERSO
(Traduit de l’italien par Marie-Ange Patrizio)
Dans son ouvrage Il Secolo mondo (Le Siècle-monde, Marcello Flores définit le 20ème siècle comme l’âge de l’occidentalisme, résumant en ce concept les différentes manifestations d’une domination à la fois économique, politique, militaire et culturelle, à travers laquelle l’Europe et les Etats-Unis ont imposé au reste de la planète leurs hiérarchies, leurs modèles et leurs façons de vivre. Après le 11 septembre 2001, l’occidentalisme a éprouvé le besoin de reformuler ses postulats en un dessein plus ou moins cohérent qui, bien qu’élaboré souvent avec des matériaux qui datent, présente les traits d’une nouvelle idéologie impériale. C’est le lexique de cette idéologie que Domenico Losurdo soumet à un examen critique dans son dernier livre (Il linguaggio dell’Impero. Lessico dell’ideologia americana, Laterza. 323 pages, 23 euros) (Le langage de l’Empire. Lexique de l’idéologie américaine, non traduit, NDT).
Pour le concept d’Occident, il existe nombre de définitions, pas toutes reconductibles de façon linéaire à la démocratie libérale. Les néo-conservateurs étasuniens se reconnaissent souvent comme père spirituel Léo Strauss, prophète d’un Occident issu d’Athènes (la philosophie grecque) et de Jérusalem (la Bible), mais il est paradoxal que ce critique inflexible des Lumières soit aujourd’hui revendiqué par ceux qui identifient la défense de l’Occident à la résistance de la civilisation des Lumières contre la barbarie obscurantiste. En réalité, depuis deux siècles, l’Occident a été bien des choses différentes.
Une civilisation supérieure
L’impérialisme du 18ème identifiait l’Occident à la « mission civilisatrice » de l’Europe, légitimant ainsi ses entreprises coloniales. Hitler y trouvait le noeud de la « race aryenne » et la justification de la guerre nazie contre les juifs, le monde slave et la « barbarie asiatique » du bolchevisme. Pendant la guerre froide, dans une lettre au président américain Eisenhower, Churchill en résumait l’essence dans l’idée du white-English-speaking World (Monde blanc-parlant-anglais ? NDT). D’Oswald Spengler à Samuel Huntington, l’Occident est une vision de la « civilisation » opposée à ses ennemis. A cette lecture, Edward Saïd avait en son temps répliqué que les civilisations sont syncrétiques, en rappelant que l’Occident serait historiquement inconcevable sans la médiation arabo-musulmane du Moyen Age tardif, à travers laquelle la culture de la Grèce antique a rejoint l’Occident chrétien. Les frontières de l’Occident sont en outre vagues et fluctuantes. En fait, l’Occident n’est ni limité à une zone géographique précise ni simplement identifiable au marché et à la démocratie, ni même encore apanage exclusif d’une religion. Son trait distinctif, soutient Losurdo en citant cet apologue mélancolique de la « race européenne » qu’est Tocqueville, est la vocation à la domination.
Ce livre ne veut pas reconstruire la formation de l’Occident comme système de pouvoir mais en démasquer l’idéologie. De ce point de vue, c’est une précieuse contribution. Suivons en les tracs. Le premier mot est « terrorisme », un concept générique qui englobe des pratiques très diverses, allant des attentats suicides irakiens à la guérilla colombienne. Losurdo n’en examine pas les métamorphoses – par exemple son nouveau caractère « global », non plus exclusivement « tellurique » comme dans le passé – mais il en révèle avec acuité la pluralité des acceptions.
Historiquement, le terrorisme est l’arme des pauvres, de ceux qui ne disposent pas de moyens de combat plus efficaces. La pratique du terrorisme suicide n’a pas de racines doctrinales dans l’Islam mais il a une longue histoire de désespoir. On pourrait en trouver les origines dans la résistance des hébreux contre la conquête romaine, dont l’épilogue fut le suicide collectif des vaincus à Masada, en 74 après Jésus Christ. C.L.R. James interprétait en termes analogues le suicide des esclaves dans les plantations de Saint Domingue, comme une forme de révolte contre leurs propriétaires. Cette référence à l’histoire est féconde, bien qu’il serait utile de distinguer le terrorisme suicide dirigé cotre l’oppresseur de celui qui atteint sans discrimination les population civiles. Il rejoint les observations qu’Esther Benbassa consacre dans son dernier essai à l’homologie entre le culte du martyre présent dans la tradition juive (depuis Masada en suivant) et celui qui est aujourd’hui répandu dans le monde musulman, tous les deux étant bien plus motivés par le désespoir que par la religion (La souffrance comme identité, Fayard).
Losurdo rappelle en outre que les Etats-Unis n’ont pas hésité à recourir à des méthodes terroristes, que ce soit en organisant des attentats contre des leaders politiques ennemis, ou en piétinant les droits de l’homme le plus élémentaires des prisonniers de guerre et des populations civiles des pays vaincus. Des scalps des Peaux Rouges (femmes et enfants compris) pendant les guerres du 19ème siècle américain jusqu’aux soldats japonais pendant la seconde guerre mondiale, et des massacres du Vietnam, aux tortures de Guantanamo et Abou Ghraib, l’histoire du terrorisme d’état étasunien permettrait de monter un très riche musée des horreurs. Le fondamentalisme musulman, catégorie à laquelle l’Occident assimile aujourd’hui ses principaux opposants, est interprété par Losurdo comme un phénomène « réactionnel » : pas tellement un comportement hostile à la modernité, mais plutôt un repli sur la religion inspiré par le rejet de l’idéologie et des valeurs qui accompagnent la domination occidentale. Cependant, cette réaction engloutit aussi la dimension émancipatrice de l’Occident : une idée universelle d’humanité et d’égalité qui a inspiré dans le passé l’anticolonialisme et que l’idéologie impériale essaie maintenant d’instrumentaliser en présentant ses guerres comme des batailles pour la liberté et la démocratie. En somme deux fondamentalismes qui s’affrontent : d’un côté le musulman et de l’autre celui des néo conservateurs étasuniens, fervents défenseurs du « destin manifeste » d’une nation à qui Dieu aurait confié la mission d’étendre à toute la planète les vertus de la démocratie et du libre échange.
Cette interprétation rejoint pas mal d’aspects de celle de Tariq Ali (Lo scontro dei fondamentalismi, Fazi, 2006) (Le choc des fondamentalismes) qui souligne pour sa part l’aspect non seulement réactionnel mais aussi régressif de ce fondamentalisme anti-occidental, qui a substitué la religion aux idéologies laïques, panarabes et socialistes prédominantes au Moyen-Orient au moins jusqu’au triomphe de la révolution iranienne. Il est vrai aussi, ajoute Losurdo, que les Etats-Unis n’ont pas hésité, pendant la Guerre froide, à soutenir le fondamentalisme musulman dans sa fonction antisoviétique, en contribuant à construire un boomerang qui revient sur eux aujourd’hui. Tout aussi ambigus les concepts d’antiaméricanisme, antisémitisme, antisionisme ou encore « pro islamisme ».
L’antiaméricanisme est généralement taxé de symptôme d’arriération culturelle, de nationalisme étriqué, ou de forme masquée d’antisémitisme. Ce diagnostic n’est pas faux, comme l’ont montré les travaux de Philippe Roger (L’ennemi américain : généalogie de l’antiaméricanisme français, Seuil) et Dan Diner (Feinbild America, Propyläen), mais unilatéral. « Américanisme » est aussi une étiquette qui marque des produits très différents. Heidegger l’a utilisée comme métaphore de la modernité technique et de la « massification de l’homme », en en saisissant aussi les traits dans le bolchevisme. Le Ku Klux Klan se l’est approprié dans ses rituels racistes. Dans les années Vingt, le sociologue Roberto Michels et Adolf Hitler soulignaient les affinités du fascisme et du nazisme avec l’américanisme, considéré par le premier comme réceptacle des énergies vitales d’une nation jeune, et par le second comme culte de la suprématie blanche.
Prenant ses distances avec une vision judéo-centrique tendant à diviser le monde en deux entités ontologiquement différentes, les juifs et les gentils, et à en raconter l’histoire comme le déploiement progressif de leur conflit, du christianisme des origines jusqu’au débouché tragique de la « Solution finale », Losurdo rétablit quelques distinctions méthodologiques. L’antijudaïsme appartient à la tradition des Lumières de la critique de la religion, dans laquelle se trouvent des philosophes comme Voltaire ou Marx, qui s’opposaient avec force aux discriminations contre les juifs. L’antisémitisme par contre est une forme d’hostilité à l’égard des juifs considérés comme une race nocive. Il prend naissance dans le dernier quart du 19ème siècle, entre en osmose avec les nationalismes modernes et aboutit, en Allemagne, à l’idéologie exterminatrice du nazisme. Losurdo reconnaît les glissements possibles de la judéophobie traditionnelle à l’antisémitisme moderne, favorisés par la particularité du judaïsme comme religion d’un seul peuple, mais il n’y consacre peut-être pas l’attention voulue aux fréquentes osmoses entre les deux. Sa distinction demeure cependant méthodologiquement nécessaire, comme, aussi, celle entre antisémitisme et antisionisme.
La barbarie inventée
S’il est vrai que la critique d’Israël est souvent un bouclier derrière lequel se cachent les antisémites, l’identification a priori d’antisionisme et antisémitisme n’en est pas moins le prétexte facile pour légitimer à tous prix la politique israélienne. Il convient donc de rappeler, avec Hannah Arendt, que le sionisme politique des origines, celui de Herzl et de Nordau, prenait ses racines dans une vision eurocentrique du monde qui voyait dans le Moyen-Orient un espace colonisable dans lequel les juifs auraient créé un « avant-poste de la civilisation contre les barbaries ». C’est là que résident aussi toutes les ambiguïtés de la perception occidentale de l’Islam. La critique des Lumières à propos de la religion musulmane n’est pas toujours innocente (comme le montrent les recherches postcoloniales), mais elle a bien sûr sa légitimité. Trop souvent, toutefois, la défense de la laïcité devient le vecteur d’un anti-islamisme d’empreinte raciste. La loi française qui interdit le port du voile musulman dans les écoles publiques est un exemple emblématique de cette insidieuse tendance à réaffirmer le caractère « supérieur » de l’Occident, bien qu’il soit maintenant revendiqué au nom de la démocratie et non plus de la race. Mais le discours occidentaliste est-il vraiment si nouveau ? La prose islamophobe d’Oriana Fallacci semble reproduire littéralement les nombreux stéréotypes de l’antisémitisme d’il y a un siècle : l’invasion des métèques, la corruption de la culture, la pénétration d’un corps étranger dans les nations chrétiennes. Bien sûr un recueil critique du lexique impérial pourrait inclure d’autres lemmes aujourd’hui répandus, de celui de « guerre humanitaire » à celui de « totalitarisme» », qui permet de réactiver le vieil arsenal idéologique de la Guerre froide contre le terrorisme islamique. Losurdo a commencé à remuer le terrain. Son livre est précieux pour cela.
(Traduit de l’italien par Marie-Ange Patrizio)
Dans son ouvrage Il Secolo mondo (Le Siècle-monde, Marcello Flores définit le 20ème siècle comme l’âge de l’occidentalisme, résumant en ce concept les différentes manifestations d’une domination à la fois économique, politique, militaire et culturelle, à travers laquelle l’Europe et les Etats-Unis ont imposé au reste de la planète leurs hiérarchies, leurs modèles et leurs façons de vivre. Après le 11 septembre 2001, l’occidentalisme a éprouvé le besoin de reformuler ses postulats en un dessein plus ou moins cohérent qui, bien qu’élaboré souvent avec des matériaux qui datent, présente les traits d’une nouvelle idéologie impériale. C’est le lexique de cette idéologie que Domenico Losurdo soumet à un examen critique dans son dernier livre (Il linguaggio dell’Impero. Lessico dell’ideologia americana, Laterza. 323 pages, 23 euros) (Le langage de l’Empire. Lexique de l’idéologie américaine, non traduit, NDT).
Pour le concept d’Occident, il existe nombre de définitions, pas toutes reconductibles de façon linéaire à la démocratie libérale. Les néo-conservateurs étasuniens se reconnaissent souvent comme père spirituel Léo Strauss, prophète d’un Occident issu d’Athènes (la philosophie grecque) et de Jérusalem (la Bible), mais il est paradoxal que ce critique inflexible des Lumières soit aujourd’hui revendiqué par ceux qui identifient la défense de l’Occident à la résistance de la civilisation des Lumières contre la barbarie obscurantiste. En réalité, depuis deux siècles, l’Occident a été bien des choses différentes.
Une civilisation supérieure
L’impérialisme du 18ème identifiait l’Occident à la « mission civilisatrice » de l’Europe, légitimant ainsi ses entreprises coloniales. Hitler y trouvait le noeud de la « race aryenne » et la justification de la guerre nazie contre les juifs, le monde slave et la « barbarie asiatique » du bolchevisme. Pendant la guerre froide, dans une lettre au président américain Eisenhower, Churchill en résumait l’essence dans l’idée du white-English-speaking World (Monde blanc-parlant-anglais ? NDT). D’Oswald Spengler à Samuel Huntington, l’Occident est une vision de la « civilisation » opposée à ses ennemis. A cette lecture, Edward Saïd avait en son temps répliqué que les civilisations sont syncrétiques, en rappelant que l’Occident serait historiquement inconcevable sans la médiation arabo-musulmane du Moyen Age tardif, à travers laquelle la culture de la Grèce antique a rejoint l’Occident chrétien. Les frontières de l’Occident sont en outre vagues et fluctuantes. En fait, l’Occident n’est ni limité à une zone géographique précise ni simplement identifiable au marché et à la démocratie, ni même encore apanage exclusif d’une religion. Son trait distinctif, soutient Losurdo en citant cet apologue mélancolique de la « race européenne » qu’est Tocqueville, est la vocation à la domination.
Ce livre ne veut pas reconstruire la formation de l’Occident comme système de pouvoir mais en démasquer l’idéologie. De ce point de vue, c’est une précieuse contribution. Suivons en les tracs. Le premier mot est « terrorisme », un concept générique qui englobe des pratiques très diverses, allant des attentats suicides irakiens à la guérilla colombienne. Losurdo n’en examine pas les métamorphoses – par exemple son nouveau caractère « global », non plus exclusivement « tellurique » comme dans le passé – mais il en révèle avec acuité la pluralité des acceptions.
Historiquement, le terrorisme est l’arme des pauvres, de ceux qui ne disposent pas de moyens de combat plus efficaces. La pratique du terrorisme suicide n’a pas de racines doctrinales dans l’Islam mais il a une longue histoire de désespoir. On pourrait en trouver les origines dans la résistance des hébreux contre la conquête romaine, dont l’épilogue fut le suicide collectif des vaincus à Masada, en 74 après Jésus Christ. C.L.R. James interprétait en termes analogues le suicide des esclaves dans les plantations de Saint Domingue, comme une forme de révolte contre leurs propriétaires. Cette référence à l’histoire est féconde, bien qu’il serait utile de distinguer le terrorisme suicide dirigé cotre l’oppresseur de celui qui atteint sans discrimination les population civiles. Il rejoint les observations qu’Esther Benbassa consacre dans son dernier essai à l’homologie entre le culte du martyre présent dans la tradition juive (depuis Masada en suivant) et celui qui est aujourd’hui répandu dans le monde musulman, tous les deux étant bien plus motivés par le désespoir que par la religion (La souffrance comme identité, Fayard).
Losurdo rappelle en outre que les Etats-Unis n’ont pas hésité à recourir à des méthodes terroristes, que ce soit en organisant des attentats contre des leaders politiques ennemis, ou en piétinant les droits de l’homme le plus élémentaires des prisonniers de guerre et des populations civiles des pays vaincus. Des scalps des Peaux Rouges (femmes et enfants compris) pendant les guerres du 19ème siècle américain jusqu’aux soldats japonais pendant la seconde guerre mondiale, et des massacres du Vietnam, aux tortures de Guantanamo et Abou Ghraib, l’histoire du terrorisme d’état étasunien permettrait de monter un très riche musée des horreurs. Le fondamentalisme musulman, catégorie à laquelle l’Occident assimile aujourd’hui ses principaux opposants, est interprété par Losurdo comme un phénomène « réactionnel » : pas tellement un comportement hostile à la modernité, mais plutôt un repli sur la religion inspiré par le rejet de l’idéologie et des valeurs qui accompagnent la domination occidentale. Cependant, cette réaction engloutit aussi la dimension émancipatrice de l’Occident : une idée universelle d’humanité et d’égalité qui a inspiré dans le passé l’anticolonialisme et que l’idéologie impériale essaie maintenant d’instrumentaliser en présentant ses guerres comme des batailles pour la liberté et la démocratie. En somme deux fondamentalismes qui s’affrontent : d’un côté le musulman et de l’autre celui des néo conservateurs étasuniens, fervents défenseurs du « destin manifeste » d’une nation à qui Dieu aurait confié la mission d’étendre à toute la planète les vertus de la démocratie et du libre échange.
Cette interprétation rejoint pas mal d’aspects de celle de Tariq Ali (Lo scontro dei fondamentalismi, Fazi, 2006) (Le choc des fondamentalismes) qui souligne pour sa part l’aspect non seulement réactionnel mais aussi régressif de ce fondamentalisme anti-occidental, qui a substitué la religion aux idéologies laïques, panarabes et socialistes prédominantes au Moyen-Orient au moins jusqu’au triomphe de la révolution iranienne. Il est vrai aussi, ajoute Losurdo, que les Etats-Unis n’ont pas hésité, pendant la Guerre froide, à soutenir le fondamentalisme musulman dans sa fonction antisoviétique, en contribuant à construire un boomerang qui revient sur eux aujourd’hui. Tout aussi ambigus les concepts d’antiaméricanisme, antisémitisme, antisionisme ou encore « pro islamisme ».
L’antiaméricanisme est généralement taxé de symptôme d’arriération culturelle, de nationalisme étriqué, ou de forme masquée d’antisémitisme. Ce diagnostic n’est pas faux, comme l’ont montré les travaux de Philippe Roger (L’ennemi américain : généalogie de l’antiaméricanisme français, Seuil) et Dan Diner (Feinbild America, Propyläen), mais unilatéral. « Américanisme » est aussi une étiquette qui marque des produits très différents. Heidegger l’a utilisée comme métaphore de la modernité technique et de la « massification de l’homme », en en saisissant aussi les traits dans le bolchevisme. Le Ku Klux Klan se l’est approprié dans ses rituels racistes. Dans les années Vingt, le sociologue Roberto Michels et Adolf Hitler soulignaient les affinités du fascisme et du nazisme avec l’américanisme, considéré par le premier comme réceptacle des énergies vitales d’une nation jeune, et par le second comme culte de la suprématie blanche.
Prenant ses distances avec une vision judéo-centrique tendant à diviser le monde en deux entités ontologiquement différentes, les juifs et les gentils, et à en raconter l’histoire comme le déploiement progressif de leur conflit, du christianisme des origines jusqu’au débouché tragique de la « Solution finale », Losurdo rétablit quelques distinctions méthodologiques. L’antijudaïsme appartient à la tradition des Lumières de la critique de la religion, dans laquelle se trouvent des philosophes comme Voltaire ou Marx, qui s’opposaient avec force aux discriminations contre les juifs. L’antisémitisme par contre est une forme d’hostilité à l’égard des juifs considérés comme une race nocive. Il prend naissance dans le dernier quart du 19ème siècle, entre en osmose avec les nationalismes modernes et aboutit, en Allemagne, à l’idéologie exterminatrice du nazisme. Losurdo reconnaît les glissements possibles de la judéophobie traditionnelle à l’antisémitisme moderne, favorisés par la particularité du judaïsme comme religion d’un seul peuple, mais il n’y consacre peut-être pas l’attention voulue aux fréquentes osmoses entre les deux. Sa distinction demeure cependant méthodologiquement nécessaire, comme, aussi, celle entre antisémitisme et antisionisme.
La barbarie inventée
S’il est vrai que la critique d’Israël est souvent un bouclier derrière lequel se cachent les antisémites, l’identification a priori d’antisionisme et antisémitisme n’en est pas moins le prétexte facile pour légitimer à tous prix la politique israélienne. Il convient donc de rappeler, avec Hannah Arendt, que le sionisme politique des origines, celui de Herzl et de Nordau, prenait ses racines dans une vision eurocentrique du monde qui voyait dans le Moyen-Orient un espace colonisable dans lequel les juifs auraient créé un « avant-poste de la civilisation contre les barbaries ». C’est là que résident aussi toutes les ambiguïtés de la perception occidentale de l’Islam. La critique des Lumières à propos de la religion musulmane n’est pas toujours innocente (comme le montrent les recherches postcoloniales), mais elle a bien sûr sa légitimité. Trop souvent, toutefois, la défense de la laïcité devient le vecteur d’un anti-islamisme d’empreinte raciste. La loi française qui interdit le port du voile musulman dans les écoles publiques est un exemple emblématique de cette insidieuse tendance à réaffirmer le caractère « supérieur » de l’Occident, bien qu’il soit maintenant revendiqué au nom de la démocratie et non plus de la race. Mais le discours occidentaliste est-il vraiment si nouveau ? La prose islamophobe d’Oriana Fallacci semble reproduire littéralement les nombreux stéréotypes de l’antisémitisme d’il y a un siècle : l’invasion des métèques, la corruption de la culture, la pénétration d’un corps étranger dans les nations chrétiennes. Bien sûr un recueil critique du lexique impérial pourrait inclure d’autres lemmes aujourd’hui répandus, de celui de « guerre humanitaire » à celui de « totalitarisme» », qui permet de réactiver le vieil arsenal idéologique de la Guerre froide contre le terrorisme islamique. Losurdo a commencé à remuer le terrain. Son livre est précieux pour cela.
venerdì 4 maggio 2007
Sette parole d’ordine per una nuova crociata. L’ideologia americana nel nuovo libro di Domenico Losurdo
di André Tosel, in corso di pubblicazione su "l'ernesto", 1/2007 Domenico Losurdo ha aggiunto una nuova pietra a quella decostruzione critica del pensiero e dell’ideologia liberali che la sua ricerca persegue ormai da anni. Questo lavoro aveva trovato un’esposizione sistematica nella Controstoria del liberalismo, pubblicata nel 2005 da Laterza: un testo che aveva per oggetto la storia e le forme contraddittorie del pensiero liberale, il cui universalismo di principio si rivelava strutturalmente lacerato da clausole d’esclusione che depennano dalla categoria universale di uomo sia i lavoratori salariati e i popoli coloniali da assoggettare al lavoro, sia le razze inferiori incapaci del lavoro civilizzato e perciò destinate a scomparire dalla faccia della terra. In questo nuovo libro, Il linguaggio dell’Impero. Lessico dell’ideologia americana (Laterza 2007, pp. 323, 20 €), si tratta invece di smontare l’ideologia americana, che mescola in modo inestricabile elementi liberali, analisi puramente reazionarie e posizioni belliciste costitutive del pensiero dominante dell’Impero, e che giustifica la propria politica di dominio globale facendo appello alla difesa dell’Occidente. Il riferimento nel titolo del libro al Marx dell’Ideologia tedesca rivela la dimensione critica della ricerca di Losurdo: il suo bersaglio è una nuova «ideologia della guerra» che s’impone come visione ufficiale del mondo e tende a divenire senso comune per larghe masse di popolazione.
Una sorta di dizionario illuministico
Losurdo si ispira qui alla tradizione illuministica degli agili dizionari ovvero delle enciclopedie tascabili che nel Settecento demolivano la concezione assolutista e feudale del mondo. Si pensi a Helvétius, d’Holbach, Voltaire, Diderot. L’argomentazione della sua polemica prende infatti la forma di un’analisi linguistica: il linguaggio dell’Impero è un lessico incentrato su alcune categorie, attorno alle quali ruota l’ideologia dominante nell’epoca della mondializzazione capitalistica. Queste categorie («terrorismo», «fondamentalismo», «antiamericanismo», «antisemitismo», «antisionismo», «filoislamismo», «odio per l’Occidente») sono però altrettanti «bandi di scomunica» mediante i quali l’Impero cerca di mettere a tacere ogni critica nei propri confronti.
A partire dall’11 settembre 2001 l’ideologia americana si è mobilitata per identificare nuovi nemici che sostituiscano il defunto comunismo sovietico, accusandoli di opporsi all’egemonia mondiale dei diritti dell’uomo, della democrazia parlamentare e del mercato capitalistico. Questi nemici sono però infinitamente più vaghi di quello precedente: sono «terroristi» che combattono la supremazia americana, nutrendo il loro fondamentalismo islamista di un antiamericanismo eguagliato soltanto dal loro antisemitismo e antisionismo. Essi sono i nemici giurati della sola civiltà che valga: la civiltà occidentale, la democrazia capitalistica.
Per gli USA, le diverse specie di nemico si equivalgono e si implicano reciprocamente. Chiunque condanni la politica egemonica dell’Impero è un terrorista in potenza. Chiunque critichi la politica israeliana nei confronti dei palestinesi, facendo valere il diritto di questo popolo all’indipendenza e alla terra, è un antisemita che si auto-esclude dall’Occidente. Chiunque esiga che l’islam venga analizzato con rigore e colleghi l’attuale fondamentalismo alla colonizzazione subita dai paesi di religione islamica è un filoislamista e un terrorista. Chiunque si preoccupi di separare la giusta rivolta contro il dominio imperialista dalla deriva fanatica in atto nel mondo musulmano, facendo notare come solo tale distinzione permetta di prevenire il ricorso al fondamentalismo da parte degli oppressi, ecco, costui diviene un complice del fondamentalismo e un fautore indiretto del terrorismo, che occorre a sua volta terrorizzare.
Questo sistema ideologico circolare ha per effetto, ovvero per obiettivo, la neutralizzazione del pensiero critico. Esso prepara la mobilitazione degli spiriti per una nuova Crociata dell’Occidente contro la civiltà islamica, che appare, in ultima analisi, come il contrario della civiltà e cioè come l’anti-civiltà della barbarie antiamericana e antioccidentale. L’ideologia americana diventa in tal modo un’ideologia della guerra globale, preventiva ed effettiva, che la politica degli Stati Uniti secerne al fine di condurre e legittimare, in nome della democrazia capitalistica, una politica di dominio sulle risorse energetiche mondiale e di controllo dei popoli.
Con impareggiabile maestria, Losurdo mette in pratica un metodo di analisi storica e comparativa, seguendo le diverse configurazioni in cui si presentano le sette categorie ovvero i sette ideologemi citati. Muovendo dagli inizi dell’età moderna, egli prende in considerazione le forme da essi assunte non solo negli Stati Uniti, ma anche in Inghilterra, Francia, Germania, Russia. Chiarisce dettagliatamente in che modo ogni ideologema si è formato, a quali obiettivi esso mira e attraverso quali vicende è entrato a far parte dell’ideologia americana. Ogni elemento del lessico è sottoposto così ad una sistematica decostruzione,. Per indicare la ricchezza del libro, bastano alcuni esempi.
Categorie ideologiche e metodo storico-comparativo
Per quanto riguarda il terrorismo, Losurdo dimostra come si tratti di una categoria puramente polemica. Il terrorismo può assumere diversi significati. E’ in primo luogo il ricorso alla violenza armata da parte di gruppi subalterni e oppressi, i quali non hanno altri mezzi a disposizione per fare valere le ragioni del proprio popolo: è il caso delle guerre di liberazione nazionale, che assumono solitamente la forma della guerriglia e della guerra partigiana. A queste lotte i gruppi dominanti rivolgono sistematicamente l’accusa di terrorismo. Sennonché, a guardar bene c’è un terrorismo di portata ben maggiore, e cioè il terrorismo militare delle grandi potenze. Esse non esitano a bombardare senza necessità strategica le popolazioni civili, come a Dresda nel 1944, o a utilizzare la bomba atomica come hanno fatto gli Stati Uniti a Hiroshima e Nagasaki. Dal punto di vista delle vittime, terroristiche sono anzitutto proprio le potenze militari che le annientano. Certo, in situazioni disperate il terrorismo dei popoli oppressi può alimentarsi di sogni religiosi e fanatici, ma questo fenomeno va compreso come una forma di reazione ad una prima aggressione da parte delle grandi potenze.
La categoria di fondamentalismo esige il medesimo approccio plurale e relazionale. E’ una categoria ambigua, nata negli Usa come autodesignazione orgogliosa di alcuni gruppi religiosi che pretendevano di possedere la verità ed erano pronti a pronunciare accuse o scomuniche contro tutti gli altri, i gruppi eretici o i miscredenti. Anche in questo caso occorre distinguere tra diverse tipologie. E’ ben presente anzitutto un fondamentalismo occidentale, che oggi assume le forme di quel fondamentalismo americano che ha al suo centro il motivo del popolo eletto, del Manifest Destiny. E’ a questo fondamentalismo che reagiscono, in modo spesso speculare, i fondamentalismi culturali cui fanno ricorso i popoli che ancora devono costituirsi come Stato. Mediante questa ideologia, essi arrivano ad esprimere le proprie aspirazioni in modo talvolta fantastico, come nel caso del fondamentalismo della Nazione dell’Islam. In generale, il fondamentalismo islamista è però una forma di reazione al fondamentalismo occidentale e a quello sionista. Ne deriva che la distinzione tra un fondamentalismo provvisto di una base storica ragionevole (quello dei popoli colonizzati e dei movimenti di liberazione nazionale) e un fondamentalismo che esprime un progetto di dominio o è del tutto immaginario (la Lega Nord ovvero certi regionalismi) è un compito aperto e politicamente decisivo. Su questa base, Losurdo può mettere in luce uno dei paradossi della modernità: il discorso universale dei diritti dell’uomo ha spesso trovato la sua formulazione più efficace proprio nel linguaggio fondamentalista e settario dei nuovi “puritani” dell’Occidente, che si atteggiano a popolo eletto da Dio e impegnato a costruire il nuovo Israele.
La categoria di antiamericanismo è quella più direttamente politica, perché attorno ad essa si articolano tutte le altre. Essa consente di denunciare come nemici tutti coloro che formulano giudizi critici nei confronti della politica dell’Impero. Losurdo fa riferimento ai suoi lavori precedenti per mostrare come il culto dell’americanismo rinvii alle origini della repubblica imperiale statunitense, che ha eliminato i pellerossa come razza inferiore e ha a lungo mantenuto i neri in schiavitù o in condizioni di oppressione. Del resto, la missione della difesa e dell’esportazione della democrazia e del mercato capitalistico – i pilastri dell’americanismo - ha sempre comportato forti elementi di razzismo e etnicismo. Non era stato proprio l’industriale americano Ford a trasmettere ai nazisti la tesi della rivoluzione d’Ottobre come complotto ebraico e a preparare così il terreno per la «soluzione finale»?
Losurdo nota infine come, attraverso una serie di singolari vicende ideologiche l’antisemitismo - divenuto impresentabile dopo il 1945 - sia stato sostituito oggi da una forma virulenta di anti-islamismo che appoggia immancabilmente la politica di Israele e da un deciso filo-sionismo. Con ciò, non si dimostra soltanto la labilità e la storicità degli ideologemi, la loro politicità. Siamo soprattutto condotti a ripensare comparatisticamente alle radici dell’antisemitismo e della giudeofobia. Come è noto, mentre la giudeofobia (cristiana ben più che islamica) aveva basi religiose e mirava alla conversione e non già all’annientamento del popolo ebraico, l’antisemitismo moderno è integralmente razzista e carico di pulsioni genocide. Il ghetto e la discriminazione politica e giuridica sono state sostituite nell’Ottocento e nel Novecento da una politica sfociata nell’ebreicidio. Ai giorni nostri si manifesta un fenomeno analogo, ma caratterizzato da un tendenziale rovesciamento di posizioni. Nel promuovere la propria strategia imperiale in Medio Oriente, l’ideologia americana fa del sionismo e dello Stato di Israele il miglior alleato. L’antisemitismo è ormai fortunatamente squalificato e la tradizione ebraica, in precedenza denunciata in quanto «orientale», è stata cooptata nel codice genetico, spirituale e morale dell’Occidente. Quest’ultimo si definisce, adesso, unicamente in opposizione a ciò che è bollato in blocco come un accumulo di barbarie, di violenza, di superstizione: il fondamentalismo = terrorismo = islamismo antioccidentale. Il linguaggio dell’Impero diventa così il linguaggio della guerra santa totale, della guerra di civiltà contro le non-civiltà nemiche. E’ il linguaggio della crociata, impegnato a mobilitare le masse e deciso ad escludere a priori ogni elemento di contraddizione, di discussione, di analisi.
Questa ideologia presenta di solito l’Occidente come fusione armonica di diverse tradizioni culturali: quella greca, quella romana, quella cristiana, quella razionalista e moderna, quella ebraica. In realtà, siamo in presenza di un mito che riposa sulla rimozione delle concrete relazioni che intercorrono tra queste tradizioni. Un mito che cancella o ignora importanti vicende storiche: la cultura romana ha a lungo disprezzato quella greca, mentre la cultura cristiana ha stigmatizzato il paganesimo antico prima di combinarsi in modo contraddittorio con esso. Il razionalismo illuministico ha dovuto combattere a lungo il dogmatismo teologico-politico. L’antisemitsimo, infine, ha infettato sia i cristianesimi storici che certe correnti illuministiche, per non parlare delle correnti razziste... Rimuovendo queste complesse vicende storiche, l’ideologia americana sottopone ad una violenza inaudita la tradizione occidentale. Gli Usa si atteggiano oggi come gli unici eredi legittimi di questo Occidente e delle sue tradizionali campagne di despecificazione e razzizzazione dell’avversario. In tal mondo, viene decisamente negata l’altra anima dell’Occidente, quella della tolleranza, del rispetto delle civiltà e di una loro possibile cooperazione. L’anima rivelata da autori quali Montagne e Diderot, dal cosmopolitismo e dall’internazionalismo, l’anima che è capace di criticare ogni deriva imperialista e genocida.Ormai Losurdo ha portato a termine il suo percorso di decostruzione: l’ideologia imperiale è stata messa nudo e può essere pienamente demistificata. Questo suo libro ci affida con ciò un compito, portandoci sulla soglia di quella che dovrebbe essere l’elaborazione di una concezione del mondo «positiva» nel senso gramsciano del termine, capace di unire universalismo concreto e attenzione per la singolarità del reale. Dopo la pars destruens, è giunto il momento di una pars construens…
Una sorta di dizionario illuministico
Losurdo si ispira qui alla tradizione illuministica degli agili dizionari ovvero delle enciclopedie tascabili che nel Settecento demolivano la concezione assolutista e feudale del mondo. Si pensi a Helvétius, d’Holbach, Voltaire, Diderot. L’argomentazione della sua polemica prende infatti la forma di un’analisi linguistica: il linguaggio dell’Impero è un lessico incentrato su alcune categorie, attorno alle quali ruota l’ideologia dominante nell’epoca della mondializzazione capitalistica. Queste categorie («terrorismo», «fondamentalismo», «antiamericanismo», «antisemitismo», «antisionismo», «filoislamismo», «odio per l’Occidente») sono però altrettanti «bandi di scomunica» mediante i quali l’Impero cerca di mettere a tacere ogni critica nei propri confronti.
A partire dall’11 settembre 2001 l’ideologia americana si è mobilitata per identificare nuovi nemici che sostituiscano il defunto comunismo sovietico, accusandoli di opporsi all’egemonia mondiale dei diritti dell’uomo, della democrazia parlamentare e del mercato capitalistico. Questi nemici sono però infinitamente più vaghi di quello precedente: sono «terroristi» che combattono la supremazia americana, nutrendo il loro fondamentalismo islamista di un antiamericanismo eguagliato soltanto dal loro antisemitismo e antisionismo. Essi sono i nemici giurati della sola civiltà che valga: la civiltà occidentale, la democrazia capitalistica.
Per gli USA, le diverse specie di nemico si equivalgono e si implicano reciprocamente. Chiunque condanni la politica egemonica dell’Impero è un terrorista in potenza. Chiunque critichi la politica israeliana nei confronti dei palestinesi, facendo valere il diritto di questo popolo all’indipendenza e alla terra, è un antisemita che si auto-esclude dall’Occidente. Chiunque esiga che l’islam venga analizzato con rigore e colleghi l’attuale fondamentalismo alla colonizzazione subita dai paesi di religione islamica è un filoislamista e un terrorista. Chiunque si preoccupi di separare la giusta rivolta contro il dominio imperialista dalla deriva fanatica in atto nel mondo musulmano, facendo notare come solo tale distinzione permetta di prevenire il ricorso al fondamentalismo da parte degli oppressi, ecco, costui diviene un complice del fondamentalismo e un fautore indiretto del terrorismo, che occorre a sua volta terrorizzare.
Questo sistema ideologico circolare ha per effetto, ovvero per obiettivo, la neutralizzazione del pensiero critico. Esso prepara la mobilitazione degli spiriti per una nuova Crociata dell’Occidente contro la civiltà islamica, che appare, in ultima analisi, come il contrario della civiltà e cioè come l’anti-civiltà della barbarie antiamericana e antioccidentale. L’ideologia americana diventa in tal modo un’ideologia della guerra globale, preventiva ed effettiva, che la politica degli Stati Uniti secerne al fine di condurre e legittimare, in nome della democrazia capitalistica, una politica di dominio sulle risorse energetiche mondiale e di controllo dei popoli.
Con impareggiabile maestria, Losurdo mette in pratica un metodo di analisi storica e comparativa, seguendo le diverse configurazioni in cui si presentano le sette categorie ovvero i sette ideologemi citati. Muovendo dagli inizi dell’età moderna, egli prende in considerazione le forme da essi assunte non solo negli Stati Uniti, ma anche in Inghilterra, Francia, Germania, Russia. Chiarisce dettagliatamente in che modo ogni ideologema si è formato, a quali obiettivi esso mira e attraverso quali vicende è entrato a far parte dell’ideologia americana. Ogni elemento del lessico è sottoposto così ad una sistematica decostruzione,. Per indicare la ricchezza del libro, bastano alcuni esempi.
Categorie ideologiche e metodo storico-comparativo
Per quanto riguarda il terrorismo, Losurdo dimostra come si tratti di una categoria puramente polemica. Il terrorismo può assumere diversi significati. E’ in primo luogo il ricorso alla violenza armata da parte di gruppi subalterni e oppressi, i quali non hanno altri mezzi a disposizione per fare valere le ragioni del proprio popolo: è il caso delle guerre di liberazione nazionale, che assumono solitamente la forma della guerriglia e della guerra partigiana. A queste lotte i gruppi dominanti rivolgono sistematicamente l’accusa di terrorismo. Sennonché, a guardar bene c’è un terrorismo di portata ben maggiore, e cioè il terrorismo militare delle grandi potenze. Esse non esitano a bombardare senza necessità strategica le popolazioni civili, come a Dresda nel 1944, o a utilizzare la bomba atomica come hanno fatto gli Stati Uniti a Hiroshima e Nagasaki. Dal punto di vista delle vittime, terroristiche sono anzitutto proprio le potenze militari che le annientano. Certo, in situazioni disperate il terrorismo dei popoli oppressi può alimentarsi di sogni religiosi e fanatici, ma questo fenomeno va compreso come una forma di reazione ad una prima aggressione da parte delle grandi potenze.
La categoria di fondamentalismo esige il medesimo approccio plurale e relazionale. E’ una categoria ambigua, nata negli Usa come autodesignazione orgogliosa di alcuni gruppi religiosi che pretendevano di possedere la verità ed erano pronti a pronunciare accuse o scomuniche contro tutti gli altri, i gruppi eretici o i miscredenti. Anche in questo caso occorre distinguere tra diverse tipologie. E’ ben presente anzitutto un fondamentalismo occidentale, che oggi assume le forme di quel fondamentalismo americano che ha al suo centro il motivo del popolo eletto, del Manifest Destiny. E’ a questo fondamentalismo che reagiscono, in modo spesso speculare, i fondamentalismi culturali cui fanno ricorso i popoli che ancora devono costituirsi come Stato. Mediante questa ideologia, essi arrivano ad esprimere le proprie aspirazioni in modo talvolta fantastico, come nel caso del fondamentalismo della Nazione dell’Islam. In generale, il fondamentalismo islamista è però una forma di reazione al fondamentalismo occidentale e a quello sionista. Ne deriva che la distinzione tra un fondamentalismo provvisto di una base storica ragionevole (quello dei popoli colonizzati e dei movimenti di liberazione nazionale) e un fondamentalismo che esprime un progetto di dominio o è del tutto immaginario (la Lega Nord ovvero certi regionalismi) è un compito aperto e politicamente decisivo. Su questa base, Losurdo può mettere in luce uno dei paradossi della modernità: il discorso universale dei diritti dell’uomo ha spesso trovato la sua formulazione più efficace proprio nel linguaggio fondamentalista e settario dei nuovi “puritani” dell’Occidente, che si atteggiano a popolo eletto da Dio e impegnato a costruire il nuovo Israele.
La categoria di antiamericanismo è quella più direttamente politica, perché attorno ad essa si articolano tutte le altre. Essa consente di denunciare come nemici tutti coloro che formulano giudizi critici nei confronti della politica dell’Impero. Losurdo fa riferimento ai suoi lavori precedenti per mostrare come il culto dell’americanismo rinvii alle origini della repubblica imperiale statunitense, che ha eliminato i pellerossa come razza inferiore e ha a lungo mantenuto i neri in schiavitù o in condizioni di oppressione. Del resto, la missione della difesa e dell’esportazione della democrazia e del mercato capitalistico – i pilastri dell’americanismo - ha sempre comportato forti elementi di razzismo e etnicismo. Non era stato proprio l’industriale americano Ford a trasmettere ai nazisti la tesi della rivoluzione d’Ottobre come complotto ebraico e a preparare così il terreno per la «soluzione finale»?
Losurdo nota infine come, attraverso una serie di singolari vicende ideologiche l’antisemitismo - divenuto impresentabile dopo il 1945 - sia stato sostituito oggi da una forma virulenta di anti-islamismo che appoggia immancabilmente la politica di Israele e da un deciso filo-sionismo. Con ciò, non si dimostra soltanto la labilità e la storicità degli ideologemi, la loro politicità. Siamo soprattutto condotti a ripensare comparatisticamente alle radici dell’antisemitismo e della giudeofobia. Come è noto, mentre la giudeofobia (cristiana ben più che islamica) aveva basi religiose e mirava alla conversione e non già all’annientamento del popolo ebraico, l’antisemitismo moderno è integralmente razzista e carico di pulsioni genocide. Il ghetto e la discriminazione politica e giuridica sono state sostituite nell’Ottocento e nel Novecento da una politica sfociata nell’ebreicidio. Ai giorni nostri si manifesta un fenomeno analogo, ma caratterizzato da un tendenziale rovesciamento di posizioni. Nel promuovere la propria strategia imperiale in Medio Oriente, l’ideologia americana fa del sionismo e dello Stato di Israele il miglior alleato. L’antisemitismo è ormai fortunatamente squalificato e la tradizione ebraica, in precedenza denunciata in quanto «orientale», è stata cooptata nel codice genetico, spirituale e morale dell’Occidente. Quest’ultimo si definisce, adesso, unicamente in opposizione a ciò che è bollato in blocco come un accumulo di barbarie, di violenza, di superstizione: il fondamentalismo = terrorismo = islamismo antioccidentale. Il linguaggio dell’Impero diventa così il linguaggio della guerra santa totale, della guerra di civiltà contro le non-civiltà nemiche. E’ il linguaggio della crociata, impegnato a mobilitare le masse e deciso ad escludere a priori ogni elemento di contraddizione, di discussione, di analisi.
Questa ideologia presenta di solito l’Occidente come fusione armonica di diverse tradizioni culturali: quella greca, quella romana, quella cristiana, quella razionalista e moderna, quella ebraica. In realtà, siamo in presenza di un mito che riposa sulla rimozione delle concrete relazioni che intercorrono tra queste tradizioni. Un mito che cancella o ignora importanti vicende storiche: la cultura romana ha a lungo disprezzato quella greca, mentre la cultura cristiana ha stigmatizzato il paganesimo antico prima di combinarsi in modo contraddittorio con esso. Il razionalismo illuministico ha dovuto combattere a lungo il dogmatismo teologico-politico. L’antisemitsimo, infine, ha infettato sia i cristianesimi storici che certe correnti illuministiche, per non parlare delle correnti razziste... Rimuovendo queste complesse vicende storiche, l’ideologia americana sottopone ad una violenza inaudita la tradizione occidentale. Gli Usa si atteggiano oggi come gli unici eredi legittimi di questo Occidente e delle sue tradizionali campagne di despecificazione e razzizzazione dell’avversario. In tal mondo, viene decisamente negata l’altra anima dell’Occidente, quella della tolleranza, del rispetto delle civiltà e di una loro possibile cooperazione. L’anima rivelata da autori quali Montagne e Diderot, dal cosmopolitismo e dall’internazionalismo, l’anima che è capace di criticare ogni deriva imperialista e genocida.Ormai Losurdo ha portato a termine il suo percorso di decostruzione: l’ideologia imperiale è stata messa nudo e può essere pienamente demistificata. Questo suo libro ci affida con ciò un compito, portandoci sulla soglia di quella che dovrebbe essere l’elaborazione di una concezione del mondo «positiva» nel senso gramsciano del termine, capace di unire universalismo concreto e attenzione per la singolarità del reale. Dopo la pars destruens, è giunto il momento di una pars construens…
I confini cangianti di una vocazione al dominio
«Il linguaggio dell'Impero», un saggio di Domenico Losurdo per Laterza. Un'analisi accurata delle parole chiave di un'ideologia mutevole nel tempo che vede nell'Occidente una civiltà superiore che si contrappone a nemici via via diversi, dalla «barbarie bolscevica» al mondo musulmano di Enzo Traverso, da "il manifesto", martedì 1 maggio 2007 Nel suo Secolo-mondo, Marcello Flores definisce il Novecento come l'età dell'occidentalismo, riassumendo in questo concetto le diverse manifestazioni di un dominio al contempo economico, politico, militare e culturale attraverso il quale l'Europa e gli Stati Uniti hanno imposto al resto del pianeta gerarchie, modelli sociali e modi di vita. Dopo l'11 settembre 2001, l'occidentalismo ha avvertito il bisogno di riformulare i suoi postulati in un disegno più o meno coerente che, per quanto fabbricato con materiali spesso datati, presenta i tratti di una nuova ideologia imperiale. È il lessico di questa ideologia che Domenico Losurdo sottopone a un esame critico nel suo ultimo libro (Il linguaggio dell'Impero. Lessico dell'ideologia americana, Laterza, pp. 323, euro 23). Del concetto d'Occidente esistono molte definizioni, non tutte linearmente riconducibili alla democrazia liberale. I neocon americani riconoscono spesso il loro padre spirituale in Leo Strauss, profeta di un Occidente figlio di Atene (la filosofia greca) e Gerusalemme (la Bibbia), ma è paradossale che questo critico inflessibile dell'Illuminismo sia oggi rivendicato da chi identifica la difesa dell'Occidente alla resistenza della civiltà illuminata contro la barbarie oscurantista. In realtà, da oltre due secoli a questa parte, l'Occidente è stato tante cose diverse. Una civiltà superiore L'imperialismo dell'Ottocento lo identificava alla «missione civilizzatrice» dell'Europa, legittimando così le sue imprese coloniali. Hitler vi coglieva il nocciolo della «razza ariana» e la giustificazione della guerra nazista contro gli ebrei, il mondo slavo e la «barbarie asiatica» del bolscevismo. Durante la guerra fredda, Churchill ne riassumeva l'essenza, in una lettera al presidente americano Eisenhower, nell'idea di white English-speaking World. Da Oswald Spengler a Samuel Huntington, l'Occidente è una visione della «civiltà» contrapposta ai suoi nemici. A questa lettura essenzialista, Edward Said aveva a suo tempo replicato che le civiltà sono sincretiche, ricordando che l'Occidente sarebbe storicamente inconcepibile senza la mediazione arabo-musulmana del tardo Medioevo, attraverso la quale la cultura della Grecia antica ha ritrovato l'Occidente cristiano. Le frontiere dell'Occidente sono inoltre vaghe e fluttuanti. Infatti, l'Occidente non è né limitato a una precisa area geografica né semplicemente identificabile al mercato e alla democrazia, e neppure appannaggio esclusivo di una religione. Il suo tratto distintivo, sostiene Losurdo citando un apologeta malinconico della «razza europea» come Tocqueville, è la vocazione al dominio.Questo libro non vuole ricostruire la formazione dell'Occidente come sistema di potere ma smascherarne l'ideologia. Da questo punto di vista, si tratta di un contributo prezioso. Seguiamone le tracce. Il primo lemma è «terrorismo», un concetto generico che ingloba pratiche molto diverse, dagli attentati suicidi iracheni alla guerriglia colombiana. Losurdo non ne studia le metamorfosi - ad esempio il suo nuovo carattere «globale», non più esclusivamente «tellurico» come in passato - ma ne rileva acutamente la pluralità di accezioni. Storicamente, il terrorismo è l'arma dei poveri, di chi non dispone di mezzi più efficaci di combattimento. La pratica del terrorismo suicida non ha radici dottrinali nell'islam ma una lunga storia di disperazione. Se ne potrebbero cogliere le origini nella resistenza degli ebrei contro la conquista romana, il cui epilogo fu il suicidio collettivo dei vinti a Masada, nel 74 d. C. In termini analoghi, C.L.R. James interpretava il suicidio degli schiavi nelle piantagioni di Santo Domingo come una protesta contro i loro proprietari. Questo richiamo alla storia è fruttuoso, benché sarebbe utile distinguere il terrorismo suicida diretto contro l'oppressore da quello che colpisce indiscriminatamente le popolazioni civili. Converge con le osservazioni che Esther Benbassa dedica nel suo ultimo saggio all'omologia tra il culto del martirio presente nella tradizione ebraica (da Masada in avanti) e quello oggi diffuso in seno al mondo islamico, entrambi ben più motivati dalla disperazione che dalla religione (La souffrance comme identité, Fayard). Losurdo ricorda inoltre che gli Stati Uniti non hanno esitato a ricorrere a metodi terroristici, sia organizzando attentati contro leader politici nemici sia calpestando i diritti umani più elementari dei prigionieri di guerra e delle popolazioni civili dei paesi vinti. Dagli scalpi dei pellirossa (comprese donne e bambini) durante le guerre dell'Ottocento americano a quelli dei soldati giapponesi durante la seconda guerra mondiale, dai massacri del Vietnam alle torture di Guantanamo e Abu Grahib, la storia del terrorismo di stato americano permetterebbe di allestire un ricchissimo museo degli orrori.Il fondamentalismo islamico, categoria alla quale l'Occidente assimila oggi i suoi principali oppositori, è interpretato da Losurdo come un fenomeno «reattivo»: non tanto un atteggiamento ostile alla modernità, quanto piuttosto un ripiegamento verso la religione ispirato dal rigetto dell'ideologia e dei valori che accompagnano il dominio occidentale. Questa reazione inghiotte tuttavia anche la dimensione emancipatrice dell'Occidente: un'idea universale di umanità e di uguaglianza che ha ispirato in passato l'anticolonialismo e che l'ideologia imperiale cerca ora di strumentalizzare presentando le sue guerre di conquista come battaglie per la libertà e la democrazia. Insomma due fondamentalismi contrapposti: da un lato quello islamico e, dall'altro, quello dei neoconservatori americani, ferventi difensori del «destino manifesto» di una nazione alla quale Dio avrebbe conferito la missione di estendere all'intero pianeta le virtù della democrazia e del libero mercato. Questa interpretazione converge sotto molti aspetti con quella di Tariq Ali (Lo scontro dei fondamentalismi, Fazi, 2006), che sottolinea da parte sua l'aspetto non solo reattivo ma anche regressivo di questo fondamentalismo antioccidentale, che ha sostituito la religione alle ideologie laiche, panarabe o socialiste predominanti in Medio Oriente almeno fino al trionfo della rivoluzione iraniana. Vero è anche, come aggiunge Losurdo, che gli Stati Uniti non hanno esitato, durante la guerra fredda, a sostenere il fondamentalismo islamico in funzione antisovietica, contribuendo a costruire un boomerang che si ritorce oggi contro di loro.Altrettanto ambigui sono concetti come antiamericanismo, antisemitismo, antisionismo o ancora «filo-islamismo». L'antiamericanismo è generalmente bollato come sintomo di arretratezza culturale, gretto nazionalismo, o come forma mascherata di antisemitismo. Questa diagnosi non è falsa, come hanno mostrato i lavori di Philippe Roger (L'ennemi américain: généalogie de l'antiaméricanisme français, Seuil) e Dan Diner (Feinbild America, Propyläen), ma unilaterale. «Americanismo» è anch'essa un'etichetta che contrassegna prodotti molto diversi. Heidegger l'ha usata come metafora della modernità tecnica e della «massificazione dell'uomo», cogliendone i tratti anche nel bolscevismo. Il Ku Klux Klan l'ha fatto proprio nei suoi rituali razzisti. Negli anni Venti, il sociologo Roberto Michels e Adolf Hitler sottolineavano le affinità del fascismo e del nazismo con l'americanismo, considerato dal primo come ricettacolo delle energie vitali di una giovane nazione e dal secondo come culto della supremazia bianca.Prendendo le distanze da una visione ebreo-centrica tesa a dividere il mondo in due entità ontologicamente diverse, gli ebrei e i gentili, e a raccontarne la storia come il dispiegamento progressivo del loro conflitto, dal cristianesimo delle origini fino allo sbocco tragico della «Soluzione finale», Losurdo ristabilisce alcune utili distinzioni metodologiche. L'antigiudaismo rientra nella tradizione illuministica della critica della religione, alla quale appartengono filosofi come Voltaire o Marx, che si opponevano con forza alle discriminazioni contro gli ebrei. L'antisemitismo è invece una forma di ostilità nei confronti degli ebrei considerati come una razza nociva. Nasce nell'ultimo quarto dell'Ottocento, entra in osmosi con i nazionalismi moderni e sfocia, in Germania, nell'ideologia sterminatrice del nazismo. Losurdo riconosce i possibili slittamenti dalla giudeofobia tradizionale all'antisemitismo moderno, favoriti dalla singolarità del giudaismo come religione di un popolo, ma non dedica forse la dovuta attenzione alle frequenti osmosi fra i due. La sua distinzione rimane tuttavia metodologicamente necessaria, come pure quella tra antisemitismo e antisionismo. La barbarie inventata Se è vero che la critica di Israele è spesso uno scudo dietro il quale si nascondono gli antisemiti, l'identificazione aprioristica di antisionismo e antisemitismo è un altrettanto facile pretesto per legittimare ad ogni costo la politica israeliana. Bisogna quindi ricordare, sulla scia di Hannah Arendt, che il sionismo politico delle origini, quello di Herzl e Nordau, gettava le sue radici in una visione del mondo eurocentrica che vedeva nel Medio Oriente uno spazio colonizzabile nel quale gli ebrei avrebbero creato «un avamposto della civiltà contro la barbarie». Qui risiedono anche tutte le ambiguità della percezione occidentale dell'islam. La critica illuministica della religione musulmana non è sempre innocente (come suggeriscono gli studi postcoloniali), ma certo possiede una sua legittimità. Troppo spesso, tuttavia, la difesa della laicità diventa il vettore di un anti-islamismo di stampo razzista.La legge francese che proibisce il velo islamico nelle scuole pubbliche è un esempio emblematico di questa insidiosa tendenza a riaffermare il carattere «superiore» dell'Occidente, benché ora rivendicato in nome della democrazia e non più della razza. Ma il discorso occidentalista è davvero così nuovo? La prosa islamofoba di Oriana Fallaci sembra riprodurre letteralmente molti stereotipi dell'antisemitismo di un secolo fa: l'invasione dei meteci, la corruzione della cultura, la penetrazione di un corpo estraneo nelle nazioni cristiane.Certo una rassegna critica del lessico imperiale potrebbe includere altri lemmi oggi diffusi, da quello di «guerra umanitaria» a quello di «totalitarismo», che permette di riattivare il vecchio arsenale ideologico della guerra fredda contro il terrorismo islamista. Losurdo ha iniziato a dissodare il terreno. Per questo il suo libro è prezioso.
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